Essere mamma oggi cosa significa? E come è cambiato lo scenario socioculturale e professionale? Ne abbiamo parlato con Cristina Zannoni, da qualche mese socia di EWMD Milano, attualmente Responsabile Assistenza di BancoBPM SPA e precedentemente Responsabile Risorse Umane di Banca di Legnano SPA.
La maternità oggi, almeno da un punto di vista legislativo, è sicuramente più tutelata rispetto al passato.
La normativa vigente offre infatti una serie di tutele che vanno dalla sicurezza e salute sul posto di lavoro per le neo-mamme, fino ai congedi e alle indennità di maternità e parentali, ai permessi di riposo e ai permessi per eventuali malattie dei figli.
Tuttavia, alla luce di un'indagine del Sole 24Ore che evidenzia come nel 2021 le donne tra i 25 e i 49 anni risultino occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli e nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni, è evidente che la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa. Le donne con figli pagano ancora un prezzo molto alto e le più penalizzate sono quelle del Sud Italia e le meno istruite. Inoltre, secondo una rielaborazione dei dati Eurostat, il nostro paese risulta essere sotto la media europea: le donne sopra i 18 anni con almeno un figlio che lavorano sono il 68,3% rispetto al dato europeo del 71,6%. Ciò significa che le norme da sole non sono in grado di garantire una concreta ed effettiva situazione di pari opportunità e trattamento per le madri sul posto di lavoro.
Un'altra incongruenza, rispetto ai dati statistici, si ravvisa nel pensiero comune che si sta affermando e che riconosce alle donne un’importanza fondamentale in ambito lavorativo, economico, finanziario e sociale, ritenendole motore di sviluppo e crescita non solo per le aziende ma anche per il paese.
Le disparità tuttora riscontrabili in tema di pari opportunità e pari trattamento e la scarsa presenza delle donne nei ruoli apicali evidenziano come sia necessario un cambiamento culturale diffuso e un nuovo modo di pensare e strutturare il mondo del lavoro. Occorre necessariamente abbattere gli stereotipi e i retaggi culturali che ancora influenzano negativamente non solo l'impiego delle donne con figli, ma anche lo sviluppo di un percorso di carriera per le neo-mamme.
Credo che per depotenziare e combattere questo stato di fatto si debba inevitabilmente agire su un cambiamento culturale che prenda avvio proprio dalle donne.
Ricordo di aver sofferto tanti anni fa per la mia prima gravidanza: la percepivo come un ostacolo al mio percorso professionale di giovane trentenne e quasi vent'anni anni dopo, nella posizione di Responsabile Risorse Umane di una piccola banca territoriale, mi sono trovata, non senza dispiacere, a dover rassicurare e gestire le ansie di giovani e brillanti colleghe, che come me avevano ancora della loro maternità una percezione negativa relativamente al loro percorso di carriera. Ecco allora la necessità di incoraggiare le neo-mamme e spiegare loro che la conciliazione fra vita professionale e personale non solo è possibile, ma addirittura è indispensabile ed è la chiave del successo, in quanto una donna realizzata nell'ambito familiare lo sarà anche nel mondo professionale e viceversa, I due mondi non sono in contrasto fra loro ma si completano come un puzzle, con tempi e dinamiche che richiedono ciascuno il proprio momento.
La motherhood penalty, ovvero la “pena di maternità” - un complesso di condizioni sfavorevoli per donne che decidono di avere figli, è un dato di fatto e non è una coincidenza che fra gli obiettivi prioritari dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile vi sia proprio l’eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne di tutte le età, anche per “garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”.
La pena della maternità è il risultato di un vecchio modo di percepire il mondo del lavoro.
Se la valutazione delle risorse passa ancora dal tempo che le stesse trascorrono in azienda e non dai risultati che portano e dal luogo in cui lavorano, ecco che inevitabilmente la maternità si configura come un ostacolo.
La funzione di cura e accudimento della prole da parte delle mamme è inevitabile ed essenziale, ma ciò non deve essere in conflitto con la volontà di partecipare e affermarsi nel mondo del lavoro. Nella mia esperienza ho avuto occasione di sperimentare che donne impiegate part time erano spesso più performanti di donne e uomini con un contratto di lavoro a tempo pieno.
Ciò che deve guidare è sempre il merito! Invece purtroppo la valutazione delle risorse è per certi versi ancora legata al tempo dedicato all'azienda e non ai risultati ottenuti.
Personalmente sono sempre stata propensa a valutare positivamente i colleghi che non avevano bisogno di fare straordinari per raggiungere i loro obiettivi e da Responsabile HR, ho sempre avuto una sorta di avversione per il lavoro straordinario e per quei responsabili che avevano necessità di indire lunghe e noiose riunioni dopo l’orario di lavoro ordinario.
Forse la situazione non è ancora migliorata da un punto di vista statistico. Eppure, la Pandemia ha favorito un nuovo modo di lavorare, che non può che portare benefici a tendere al lavoro femminile: lo smart working.
Se saranno presenti la forza e la volontà politica e aziendale di mantenere questa modalità di lavoro anche dopo la pandemia, le donne non potranno che beneficiarne.
Nel mio conteso ho potuto constatare un aumento della produttività da parte di tutti i componenti della mia struttura. Il fatto di poter conciliare le proprie esigenze personali con quelle professionali è stato un acceleratore di motivazione, entusiasmo, creatività e risultati raggiunti.
Lo smart working non può trovare applicazione in tutti gli ambiti lavorativi, ma dove può essere praticato rappresenta un'opportunità di significativo rilievo da cui trarre enormi benefici, non solo in termini di conciliazione vita-lavoro, ma anche di cambiamento della visione con cui si è sempre guardato al lavoro.
Altresì l'Osservatorio del Politecnico di Milano ha recentemente evidenziato come lo smart working abbia determinato un significativo aumento della produttività, una riduzione dell'assenteismo, una diminuzione dei costi di gestione degli spazi fisici, un risparmio economico e di tempo dei lavoratori, ma soprattutto un miglioramento della qualità della vita.
Certamente un approccio al lavoro e alle relazioni diverso. La leadership femminile è una leadership inclusiva, gentile, sensibile alla cooperazione, rispettosa delle persone e dell'ambiente che ci circonda. Ecco che la funzione di cura a cui per anni le donne sono state relegate diventa in Azienda magicamente un fattore di successo.
Per accrescere la presenza femminile bisognerebbe promuovere modelli di welfare aziendali che garantiscano servizi di cura all'infanzia e non solo.
Alcune imprese hanno da tempo inaugurato queste nuove forme di tutela del benessere lavorativo e familiare che vanno oltre il concetto classico di sola retribuzione. Sarebbe opportuno, a mio avviso, accelerare la sperimentazione di soluzioni innovative sia in ambito pubblico che privato oltre a creare sinergie virtuose che facilitino la donna nell'adempimento dei suoi compiti familiari e nel raggiungimento di soddisfazioni professionali.
Nel libro “Maam. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne” di Andrea Vitullo e Riccarda Zezza, edito da Rizzoli, viene proposto un percorso di cambiamento in cui le capacità genitoriali divengono le fondamenta per costruire pratiche di leadership. Cosa ne dice?
Un libro bellissimo che invito tutti a leggere e che le funzioni HR di tutte le Aziende dovrebbe ben tenere presente. Non voglio volutamente entrare nel merito dei contenuti del libro, il titolo la dice già lunga per stimolare la voglia e il desiderio di leggerlo!
Mi limiterei a dire che dal libro si evince come sia fondamentale partire dall'esperienza della cura per cambiare il mondo e in particolare il lavoro.
Anche la cura di sé, prima ancora della cura degli altri, può favorire una rinascita!
Dal libro: “Buttiamo via le vecchie regole, inventiamo qualcosa di nuovo”.
“Per farlo possiamo partire da qualcosa di sostanziale: dalla vita, dalla nascita, dall'inaspettato”, in una parola dall'umanità, ultimo vantaggio competitivo che ci rimane, in un mondo dove è stato esplorato quasi tutto!
Anna Claudia Furgeri Caramaschi
Team Comunicazione EWMD Milano